Una massima induista dice che una mosca schiacciata a Varanasi otterrà di più che un santone in mille vite, dopo altrettante rinascite.
Che cosa significano queste parole? Per una mente plasmata dalla nostra razionalità è quasi automatico archiviarle come folklore, affascinanti quanto si vuole ma residuo di un tempo lontano quando la scienza nulla aveva da opporre ai lussureggianti racconti del mito.
Ma per chi si affaccia all’India con i sensi vigili e la mente disposta ad accogliere le immagini e le sensazioni che lo avvolgeranno, una spiegazione come questa non lo potrà convincere. Chi viene in India ha il desiderio profondo di confrontarsi con un’altra visione della realtà, ed è pronto ad accettarne il mistero per quello che è, viverlo per quanto sia possibile, farlo proprio lasciandosi sedurre.
Ma allora cosa significano queste parole? E che cosa è il ciclo della vita, della morte e della rinascita, ciclo che si ripeterà fin quasi all’infinito, fino a quando qualcosa, il Moksa, metterà fine alla sua ruota? E come affrontare l’innumerevole schiera di divinità, le loro storie che sembrano plasmarsi nel momento stesso in cui le si ascoltano? Tutto questo è realtà? Metafisica? Psicologia?
Il viaggio dei viaggi
Ogni viaggiatore sa che, prima o poi, arriva il momento di considerare il viaggio in India, di pensarsi finalmente pronto per questa meta, di vincere le resistenze che fino a quel momento gli avevano suggerito che forse no, non è ancora il momento giusto, ancora no, ho paura di vedere, ascoltare, annusare cose che potrebbero turbarmi, che potrebbero mettere in discussione la mia visione della realtà.
Talvolta poi arriva anche il momento di ritornare in India, per vedere altro, certo, l’India è grande, è quasi un continente; ma l’India è anche un rito, e anche noi occidentali smaliziati, pragmatici, tecnologici – forse proprio per tutto quello in cui siamo immersi – nel rito riusciamo a percepire che esiste un centro di gravità spirituale che ci protegge dall’esplosione del nulla.
Ciascuno di noi è partito per questo Delhi-Varanasi con il suo personalissimo bagaglio intellettuale e spirituale di domande e di curiosità, cultura ma anche intelligente frivolezza. Ha deciso di affrontare le fatiche di un viaggio ad elevate intensità con la speranza di riportare a casa almeno una risposta alle tante domande che affollano la mente alla partenza. Questo ben sapendo che altre domande, altrettanto ardue da scalare, si sarebbero aggiunte percorrendo le strade del Rajasthan, dell’Uttar Pradesh, del Madhya Pradesh, incontrando le meraviglia di Agra, la seducente tranquillità di Orccha, il mistero vivo dei Ghat di Varanasi.
Viaggio in India solitario o in gruppo?
Soprattutto in viaggi come questo il gruppo è l’azzardo più grande. Tutte le sensazioni che si proveranno verranno filtrate attraverso i compagni di viaggio. Gioia, tristezza, allegria, fobie, abitudini, apatia reale o simulata che percepiremo dai nostri compagni di viaggio si mescoleranno con le percezioni che ci arriveranno dal mondo che stiamo visitando. Ne moduleranno l’intensità, gli daranno quella prospettiva che, quasi sempre, sarà quella che poi ci porteremo dietro per il tempo a venire.
Forse è proprio il caso di dire che dal melting pot del gruppo uscirà il karma del viaggio, ciò che renderà in un modo o nell’altro l’esperienza indimenticabile. Questo gruppo, guidato dalla esperienza di una coordinatrice pragmatica, mimetica ma risoluta e che ha subito intuito quali ne erano le peculiarità, questo gruppo è stato una specie di falange pacifica, allegra, ciarliera, motivata e tenace, che si è fatta strada lungo l’itinerario del viaggio, non certo facile, non privo di qualche ostilità, faticoso ed estremamente intenso.
Giorno 1: la partenza del mio primo viaggio in India
Il gruppo si riunisce ad Istanbul, a bordo dell’aereo che ci porterà a Delhi. Entrambe i voli precedenti, da Roma e da Milano, sono stati ritardati da agitazioni sindacali, ed è stato alto il rischio di perdere la coincidenza per Delhi, oppure che non si arrivasse tutti insieme nel giorno previsto. Invece la compagnia aerea ha poi deciso di ritardare la partenza del volo per l’India, e così il gruppo ha potuto realizzare il programma, senza dover rinunciare a nulla di quanto previsto.
Giorno 2: Jaipur
Arriviamo in India alle prime luci del giorno. All’esterno dell’aeroporto troviamo il corrispondente locale, e il pulmino che ci trasporterà per la prima metà del viaggio, fino alla stazione di Mohaba dove prenderemo il treno notturno per Varanasi.
Acquistiamo rupie, sia per la cassa comune che per i singoli partecipanti, e siamo pronti per la partenza. Lasciamo Delhi alla volta di Jaipur.
L’Amber Palace
La prima visita di questo viaggio è all’Amber Palace, una imponente fortezza che domina la valle lungo la strada per Delhi. La costruzione del forte di Amber iniziò nella seconda metà del cinquecento e andò avanti a più riprese, fino agli inizi del XVIII secolo. La cittadina di Amber fu la residenza delle dinastie regnanti nell’area fino a quando non venne edificata Jaipur. Molto interessante la visita al complesso, che permette di avere una idea di come era organizzata la vita in una fortezza rajput. Vari ambienti dedicati alle attività pubbliche e a quelle private del principe, con le soluzioni architettoniche adottate per rendere confortevole la vita al suo interno. Confortevole per coloro che erano collocati ai livelli apicali della scala sociale e della gerarchia di potere – soprattutto per quello che riguarda la circolazione dell’aria nei mesi più caldi dell’India.
Come sarà anche per altri palazzi che visiteremo, tra le curiosità ci sono quelle che riguardano l’universo femminile che ruotava intorno al signore del castello. Le favorite, generalmente già queste abbastanza numerose, e le numerosissime concubine. Le esigenze dei principi, dettate dal rango ma non solo, stante le fonti storiche non erano orientate alla sobrietà.
Dopo ogni vittoria andavano nei territori conquistati o riportati all’ordine per rastrellare ricchezze, e prendersi le fanciulle più belle con cui arricchire l’harem. Ovviamente, una parte degli ambienti dei palazzi erano destinate ad ospitare favorite e concubine. Dedali di corridoi permettevano al signore di raggiungere gli appartamenti delle compagne da lui scelte, ingegnosi sistemi di comunicazione consentivano di inviare messaggi con la necessaria riservatezza. La nostra fantasia è stuzzicata ad immaginare i movimenti che avvenivano in questi ambienti quando il principe decideva che era arrivato il momento dell’amore…
Nel corso della visita al forte di Amber scopriamo una abitudine dei visitatori locali che ci farà compagnia per il resto del viaggio. Quando incontrano un visitatore straniero gli indiani non resistono alla voglia di farsi un selfie insieme. Giovani e meno giovani, con garbo ma senza timidezze, ti fanno capire che avrebbero piacere di farsi una foto con te. Componenti di nuclei famigliari o di comitive di ragazzi si alternano con il turista occidentale resosi disponibile, e scattano fotografie che saranno un ricordo – o un trofeo? – da mostrare agli altri. Quel primo giorno ad Amber, così come sarà nei giorni seguenti a Fatehpur, al Taj Mahal, ad Orccha, ci prestiamo volentieri a questo rito della modernità (che in qualche circostanza si trasformerà in una sorta di assedio).
Trascorriamo la prima notte a Jaipur.
Giorno 3: da Jaipur a Bharatpur
La mattina visitiamo Jaipur, la capitale del Rajasthan, rara città indiana ad essere stata costruita secondo criteri urbanistici razionali. La “città rosa”, cosiddetta per l’effetto cromatico dato dall’arenaria rosa abbondantemente impiegata nella edificazione dei palazzi, sorse agli inizi del XVIII secolo per volere del maragià Sawal Jai Singh che ne disegnò personalmente la pianta. Sawal Jai Singh fu una personalità illuminata, politicamente accorta e appassionata di scienze. A lui si deve la costruzione dell’osservatorio Jantar Mantar, dotato di spettacolari meridiane con le quali era possibile conoscere l’ora con notevole precisione per quei tempi, e di altri dispositivi per calcoli astrologici, molto importanti nell’India di allora.
Una delle attrattive di Jaipur è il Palazzo dei Venti, l’Hawa Mahal. La sua immagine è iconica. Non è un vero e proprio palazzo ma un frontale architettonico dal limitato spessore inserito nel complesso di edifici regali. La geometria della struttura e la disposizione delle numerosissime finestre, nicchie, alveoli favorisce la circolazione dell’aria, e da qui il suo nome. Nascoste alla vista, al suo interno si muovevano le donne dell’harem che spiavano il movimento lungo la via principale della città.
Prima di un primo tuffo negli acquisti – Jaipur è senz’altro una delle piazze migliori dell’India per quello che riguarda stoffe e pashmina – visitiamo un tempio dedicato a Krishna. E’ in corso un rito e sono centinaia le persone che affollano il tempio. Inneggiano preghiere e canti. L’intensità della cerimonia raggiunge l’apice e noi ci facciamo coinvolgere dall’atmosfera.
Bharatpur
Lasciata Jaipur, lungo il percorso che ci porterà a Bharatpur, dove trascorreremo la notte, visitiamo due siti molto interessanti. Il primo è un tempio dedicato al dio scimmia Hanuman. Anche se in stato di parziale abbandono merita la visita. Il complesso è stato realizzato in una gola e si insinua tra costoni rocciosi, che si fanno via via più stretti e ripidi man mano che ci si spinge all’interno. Architettonicamente molto interessante il tempio vero e proprio a cui si accede con una ripida scalinata. E’ abbellito dalle tipiche cupole rajput.
Nel complesso c’è anche un bel bacino per le abluzioni sacre. Naturalmente non potevano mancare le scimmie – macachi soprattutto – distribuiti in gruppi famigliari che scendono dalle rocce circostanti per procurarsi del cibo dai visitatori, ma anche per naturale curiosità.
Visitiamo quindi uno spettacolare esempio delle cisterne costruite molti secoli addietro per raccogliere l’acqua piovana, il Chand Baori. Una vertiginosa struttura a piramide a gradoni rovesciata, profonda trenta metri, percorsa da decine di brevi rampe di scale che permettevano di arrivare al pelo dell’acqua il cui livello, oggi come allora, è regolato dalle piogge.
Giorno 4: Fatehpur Sikri e Agra
La mattina visitiamo Fatehpur Sikri, cittadella voluta dall’imperatore Akbar nel 1572 per sé e la sua corte.
Akbar, all’età di 26 anni, all’apice del potere aveva il problema della discendenza. Si recò allora presso la collina di Sikri ad incontrare un indovino che aveva fama di saggezza e santità. I consigli e la benedizione dell’indovino diedero il loro frutto e Akbar ebbe tre figli. Il primo dei quali, Jahangir, suo successore sul trono Moghul, nacque l’anno seguente. Fu per gratitudine verso l’indovino che Akbar decise di costruire la cittadella di Fatehpur Sikri.
Akbar aveva una personalità curiosa, uno spirito aperto, e una spiccata tendenza al sincretismo religioso. Di formazione musulmana, Akbar amò confrontarsi con l’induismo ma anche con il jainismo e il cristianesimo. Nella cittadella sono evidenti soluzioni architettoniche e decorative che richiamano motivi delle diverse religioni.
La fortuna di Fatehpur non durò però a lungo. A causa di un repentino cambiamento nel livello della falda acquifera, la disponibilità di acqua si ridusse drasticamente e la corte si trovò costretta a spostarsi altrove.
Agra
Lasciata Fatehpur Sikri, riprendiamo il pulmino e ci dirigiamo verso Agra. Siamo emozionati perché tra poco arriveremo al cospetto di una meraviglia assoluta.
Agra è una città del Uttar Pradesh non distante dal confine con il Rajasthan. E’ una città di medie dimensioni per lo standard indiano, e dall’atmosfera più rilassata. Furono gli imperatori Moghul, Babur in testa, a fondare e a rendere magnifica Agra a partire dal 1526, a renderla ancora oggi una delle mete di viaggio più famose del mondo grazie all’impareggiabile Taj Mahal. Akbar, prima di trasferirsi a Fatehpur Sikri, eresse il Forte Rosso che fu successivamente ampliato e abbellito da Jahangir e Shah Jahan. A Shah Jahan si deve la realizzazione del Taj Mahal.
Il Forte Rosso
Il Forte Rosso colpisce subito per l’imponenza della sua struttura. Questa fortezza venne realizzata in quasi cento anni e al suo abbellimento e potenziamento contribuirono tutti i più importanti imperatori Moghul: Akbar, Jahangir, Shah Jahan, Aurangzeb. Jahangir, che preferì Agra a Delhi come capitale del regno, fu l’imperatore che maggiormente lasciò il segno nel Forte Rosso, edificando attorno ad un ampio ed armonico cortile alcuni magnifici padiglioni tra i quali la sala delle udienze. Dalla parte del forte che guarda verso il fiume Yamuna, si ha una bella visione del Taj Mahal. Visione bella e struggente se si pensa a Shah Jahan, ridotto in prigionia dal figlio Aurangzeb, che trascorse gli ultimi otto anni della sua vita a guardare da lontano la splendida tomba da lui voluta per l’amata Mumtaz Mahal.
Il Taj Mahal: una delle 7 meraviglie del mondo
Anche per colui che ha già visitato questo gioiello dell’arte umana, entrare nell’androne che conduce al complesso del Taj è emoziontante. Intravederlo mentre si percorre il corridoio che sembra avvolto nell’oscurità, e non per un normale effetto di contrasto luminoso con l’esterno ma per lo splendore quasi accecante di ciò che ne è al di là, suscita sempre forti emozioni. Uscendo finalmente all’aperto nel complesso di giardini, vasca, purtroppo vuota, spianata, moschee laterali e il Taj Mahal si ha la sensazione di aver raggiunto una di quelle mete che non ci si sarebbe mai perdonati di mancare. Meraviglioso, tutto! L’armonia formale del Taj Mahal è assoluta. E, alle sue spalle, lo Yamuna scorre placido verso il Gange.
La storia del Taj Mahal
Shah Jahan volle un’opera impareggiabile per custodire le spoglie della sua amata Mumtaz Mahal, la cui morte lo aveva gettato nella disperazione. Per ottenere quello che voleva chiamò un architetto persiano e tecnici ed artigiani dal medio oriente e dall’Europa. La storia vuole che Shah Jahan fece uccidere la compagna dell’architetto incaricato dell’opera affinché, provando anche lui il dolore per la perdita dell’amata, trovasse dentro di sé l’ispirazione sublime necessaria per realizzare un’opera magnifica.
Ci vollero ventidue anni per portare a termine il Taj Mahal, dal 1631 al 1653. Nel frattempo, Aurangzeb aveva usurpato il trono e fatto imprigionare il padre nel Forte Rosso. Così, nel vorticoso giro di ambizione, grandiosità, spregiudicatezza della dinastia Moghul, Shan Jahan si ritrovò a trascorrere da prigioniero gli ultimi anni di vita, a rimirare ogni giorno la tomba dove era sepolta la sua bellissima sposa. Shah Jahan aveva progettato per sé una tomba identica al Taj sulla sponda opposta dello Yamuna, ma Aurangzeb non volle saperne di sobbarcarsi i costi di una simile realizzazione, e così quando il padre morì lo fece seppellire nello stesso Taj Mahal accanto alla sua amata Mumtaz. La sepoltura di Shah Jahan è l’unico elemento non in simmetria di questa sublime opera.
Taj Mahal nel cuore…e nelle foto!
Ricorderemo le ore trascorse nel complesso del Taj Mahal non solo per quello che i nostri occhi hanno potuto vedere, non solo per l’eccitazione provata trovandoci di fronte a una delle realizzazioni in assoluto più belle dell’umanità, ma anche per quel piacere che gli indiani provano di farsi fotografare con gli occidentali. Ne avevamo avuto un significativo antipasto all’Amber Palace e a Fatehpur Sikri, ma qui al Taj Mahal questo piacere ha dato vita a qualcosa di leggendario. Soprattutto nel terrazzo sopraelevato dove si esce dall’androne di ingresso al complesso – il punto dove ognuno deve scattare almeno una fotografia al Taj, e dove quindi si genera un assembramento considerevole – il gruppo è stato preso d’assalto dai visitatori indiani, ed eroicamente si è immolato agli scatti elettronici di decine e decine di cellulari.
Cena dalle donne sopravvissute all’acido: un’esperienza da ricordare
La sera ceniamo al Sheroes Hangaout Restaurant. Il ristorante è gestito da donne che sono state vittime di aggressioni con acido. Hanno il viso, e non solo, deturpato dalle ustioni. In un video alcune delle donne racconta la propria terribile esperienza, molto spesso maturata all’interno della famiglia.
Giorno 5: Gwalior
Lasciata Agra, arriviamo a Gwalior. Come per Fatehpur Sikri, la fondazione di Gwalior fu un ringraziamento. Suraj Sen, un principe locale, era stato colpito dalla lebbra. Un giorno si trovava a caccia nell’area della futura città. Si dissetò ad un pozzo custodito da un eremita, Gwalipa, e le acque del pozzo lo guarirono dalle piaghe. Per riconoscenza, Suraj Sen fondò Gwalior, il cui nome deriva da quello dell’eremita. Era l’VIII secolo.
La fortezza Man Mandir domina dalla parte più elevata del costone roccioso che sovrasta la città. Venne realizzata dal ragià Man Singh a cavallo tra XV e XVI secolo. Sulle mura esterne della fortezza sono ancora visibili parti del rivestimento in ceramiche colorate, riproducenti splendidi disegni a tema animale. Come in altre realizzazioni di questo tipo, gli interni presentano soluzioni architettoniche studiate per favorire la ventilazione, l’ascolto della musica suonata da musici che allietavano la vita dei ragià. C’è anche un ingegnoso sistema di comunicazione attraverso le mura che permetteva al signore della fortezza di comunicare con le donne dell’harem. Interessanti anche i sotterranei della fortezza, dove ebbero luogo eventi drammatici. Aurangzeb vi fece imprigionare e poi assassinare un fratello. Precedentemente, ebbe luogo una drammatica Sati, l’immolazione nel fuoco delle donne dell’harem del ragià, che in questo modo sfuggirono ai conquistatori musulmani che stavano entrando in città.
I Buddha più grandi che abbia mai visto
Non distante dal Man Mandir, lungo una ripida strada, ammiriamo le statue del Buddha scavate nella roccia. La furia iconoclasta dei conquistatori Moghul distrusse le teste delle statue, alcune delle quali sono state restaurate in tempi successivi.
La tappa più armoniosa del viaggio in India: Orccha
Arriviamo ad Orccha nel primo pomeriggio. Orccha è una graziosa cittadina medievale del Madhya Pradesh, collocata su alcune basse colline e attraversata dal fiume Betwa. Il significato del nome è quello di “nascosta”, ed in effetti, giunti ad Orccha, si ha l’impressione di trovarsi in un luogo imprevisto, fuori dal tempo e dal caos spesso infernale delle altre città indiane. Orccha venne fondata agli inizi del XVI secolo. La sua fortuna la si deve alla alleanza tra i ragià locali e l’imperatore Jahangir.
Ad Orccha non si è travolti dalla confusione che domina altrove, e questo è sicuramente la conseguenza di un ridotto numero di abitanti, e del fatto di non essere al centro degli itinerari turistici principali. L’atmosfera che si respira è rilassata, e questo ci permette di visitarne i luoghi più importanti in tranquillità.
Le 3 attrazioni di Orccha
Bello e spettacolare è il complesso fortificato formato da tre principali palazzi tra cui il Rajà Mahal, la residenza dei ragià, e il Jahangir Mahal costruito in occasione della visita di Jahangir. Il forte sorge sulla riva opposta del fiume Betwa rispetto ad Orccha. La sua struttura è imponente ma agile allo stesso tempo, e si inserisce bene nell’ambiente naturale del luogo. Spiccano nello skyline veramente unico le cupole, realizzate sia in stile Rajput che Moghul. L’interno presenta ampi cortili da dove si accede ai vari ambienti dell’edificio. Salendo ripide e anguste scalinate si accede ai piani superiori dove, percorrendo stretti corridoi, ci si può divertire ad esplorare l’intero perimetro del forte, e ammirare le vedute di Orccha e delle verdeggianti aree circostanti. Dal lato orientale è possibile osservate parte di una foresta che, in passato, fu riserva di caccia per la tigre dei ragià, e fonte di legno pregiato.
Alcune delle stanze del complesso conservano ancora cicli pittorici molto interessanti. E’ il caso della Stanza della Regina all’interno della quale è possibile ammirare le 10 reincarnazioni di Vishnu
Emozioni di viaggio in India che si rispetti
Usciti dal forte, ci dirigiamo verso il centro di Orccha. Alcuni di noi vanno a visitare il bel tempio Chathurbhuj mentre altri preferiscono aggirarsi tra le strade della cittadina per respirarne l’atmosfera.
Una anziana donna, certamente della casta degli intoccabili, ci chiede con insistenza qualcosa, lo fa in modo poco gradevole, con una certa asprezza. Un commerciante la allontana colpendola sulle spalle. E’ un momento che ci ricorda la condizione di una parte della popolazione indiana appartenente alla casta più infima della struttura sociale. E’ qualcosa di violento quello che abbiamo visto, una violenza istituzionalizzata, inscritta in un codice che, in definitiva, qui la rende accettabile e socialmente funzionale.
La sera pernottiamo nell’albergo migliore del viaggio, l’Amar Mahal, una dimora di rango, elegante e architettonicamente pregevole. A cena è forte l’eccitazione per tutto quello che stiamo vivendo. Ormai le nostre emozioni hanno acquisito un ritmo, stanno danzando con il mistero e la bellezza dell’India. L’allegria raggiunge dei picchi decisamente elevati, tanto da disturbare l’ovattata atmosfera del luogo. Con garbo e leggerezza, ci scusiamo. Non si può escludere che, con questo gesto, volessimo preservare al gruppo il karma adeguato in vista di Varanasi.
Giorno 6: Khajurao e la partenza verso Varanasi
Ancora qualche ora ad Orccha per osservare le attività mattutine – mondane e sacre -presso il fiume Betwa. Ammiriamo i cenotafi, monumenti funebri ai ragià e alle loro regine che si sono susseguiti in questa piccola ma fascinosa cittadina indiana.
E’ un peccato andare via da questa perla nascosta! Ma ci attende il treno che ci condurrà nottetempo a Varanasi.
Sulla strada per Mohaba ci fermiamo a Khajurao. Capitale di una antica dinastia rajput, Khajuraho deve alla sua fama ai numerosi templi – oltre 80 in origine – shivaiti e vishnuiti. La bellezza architettonica dei templi e la suggestione delle immagini scolpite sulle pareti esterne, particolarmente quelle a carattere erotico, meritano la visita di questa cittadina. Non si può tuttavia non percepire l’atmosfera turistica del luogo.
In tarda serata arriviamo a Mohaba, dove prendiamo il treno per Varanasi. Il viaggio in vagone letto su di un treno indiano è una esperienza a sé stante, soprattutto nelle attese che lo precedono. Il viaggio è confortevole, le carrozze pulite e poco affollate. Abbiamo modo di riposare.
Giorno 7: la vera meta spirituale, Varanasi
Il treno ci consegna a Varanasi. Ci siamo. Il primo impatto con la città di Shiva è scoppiettante. Ci sparpagliamo sui mitici tuc tuc e partiamo alla conquista degli spazi, anche dei più piccoli, per avanzare in un caos indescrivibile. A noi sembra impossibile che in quel putiferio di tuc tuc, motorini, auto, pedoni, furgoni, animali e carretti non si finisca per accartocciarvisi. E invece avanziamo, a volte molto lentamente, in certi altri momenti con scatti brucianti quando, come per miracolo, si aprono dei varchi. Questo del tuc tuc è un momento “profano” del viaggio, una parentesi di eccitata fanciullezza che non ci fa sentire nessuna di quelle paure che, logicamente, ci avrebbero dovuto assalire pensando a quello che potrebbe succedere viaggiando dentro leggere scatolette di metallo senza sportelli, air-bag, cinture e tutto il resto.
Arriviamo in albergo. Giusto il tempo di prendere possesso delle camere – in un’ottima struttura, guidata da un manager esperto e gradevole – una rapida rinfrescata e siamo pronti per scendere verso il Gange che scorre a poca distanza.
Facciamo una prima escursione lungo il fiume fino ad arrivare all’Harishchandra Ghat dove, come al Manikarnika, si svolgono le cremazioni dei defunti. Abbiamo così il primo contatto con questa pratica che per l’induismo è sacralità e metafisica, che è forse il momento centrale dell’esistenza che qui non corre lungo la prospettiva lineare che dalla nascita porta alla morte definitiva; qui, quello che conta è il Samsara, il ciclo delle vite che si susseguono dopo ogni morte.
Come previsto, ci incontriamo con Nomi, un giovane bramino. Fa parte del centro studi fondato da un italiano, Marco Zolli, docente di Indi presso la Ca’ Foscari di Venezia. Il Centro sudi e una realtà che si occupa di incentivare e facilitare le relazioni con il contesto indiano, e organizza viaggi di approfondimento culturale in India. Su questo aspetto è un valido supporto per le esperienze dei viaggiatori di Avventure a Varanasi. Nomi ci accompagnerà per una parte del nostro soggiorno a Varanasi, e proverà a rispondere alle infinite domande che gli porremo. Con lui saliamo su una barca e risaliamo il fiume fino al Manikarnika Ghat. Vista dal centro del Gange, Varanasi acquista una dimensione ancor più sacra e drammatica, una visione che si rafforzerà con la sera imminente. Varanasi appare veramente un luogo centrale di un universo dove vita e morte si guardano vicendevolmente, apparentemente senza contrapposizione, ma come parti integranti della danza cosmica della esistenza.
Mentre le immagini dei Ghat corrono nei nostri occhi, Nomi ci parla di argomenti sacri e profani, prova a darci nozioni non solo sulla religione ma anche sulla organizzazione della vita. Ci parla degli dei dell’India che sono milioni, un numero che a noi sembra incongruente, formati come siamo alla dimensione monoteista. Che cosa significa tutta questa profusione di divinità? Certo, quelli principali sono i tre della trimurti, Shiva, distruttore e rigeneratore, Vishnu il preservatore, Brahma il creatore, e poi ci sono le loro consorti Parvati, Lakshmi e Sarasvati. Poi c’è l’onnipresente Ganesa, il dio della fortuna e della cultura dalla testa di elefante, poi c’è Krishna, poi c’è Rama, poi c’è la terribile Kali; sono questi gli dei a cui si rivolge la devozione della gran parte dei fedeli del subcontinente indiano.
Una delle esperienze più toccanti di un viaggio in India: il Ganga Aarti
Sulla via del ritorno la nostra barca si ferma al Dasaswamedh Ghat dove assistiamo alla Ganga Aarti della sera. Se Varanasi è città sacra a Shiva, nelle acque del Gange è presente lo spirito di Vishnu, divinità conservatrice della religione induista la cui immagine naturale è qui la dea Madre Ganga. I pandit, sacerdoti induisti, eseguono l’elaborato cerimoniale: fanno danzare lampade alimentate con oli sacri. La folla dei fedeli segue in adorazione la danza dei pandit, sperando di conseguirne la purificazione dalle forze malvage.
La sera ceniamo ospiti del centro studi. Assaporiamo alcune ricette della cucina vegetariana indiana preparate da una graziosa e simpatica cuoca del luogo.
Giorno 8 – Ganga Aarti dell’alba e Ghat
Il giorno successivo trascorre tranquillo, quasi un intermezzo tra le emozioni del giorno precedente e quelle che ci attendono per il giorno successivo, quando entreremo corpo, mente e sensi nel cuore di Varanasi. Ci raduniamo quando ancora il sole deve sorgere per vedere l’alba sul Gange ed assistere alla Ganga Aarti del mattino. Poi, sempre accompagnati da Nomi, facciamo un giro per Varanasi; prima in barca per osservare le attività mattutine sui Ghat, quindi, tornati a terra, facciamo un tour della lavorazione dei tessuti. Abbiamo modo di osservare le tecniche di avvolgimento delle fibre tessili, il lavoro di tessitura con vecchi telai azionati a mano, i ritocchi finali con la colorazione di un sari.
Giorno 9 – la vita nella città sacra
La mattina con Marco Zolli prendiamo una barca che ci porterà al Manikarnika Ghat. Scendiamo vicino un piccolo tempio di Shiva. Eccoci in quello che forse è il cuore della devozione e della metafisica induista. Il fuoco eterno da cui i sacerdoti incaricati del rito dei defunti attingono per accendere le pire funebri, i templi, i rituali, le piccole, onnipresenti attività commerciali, le cataste di legna, soprattutto sandalo, il cui fuoco distruggerà le spoglie materiali dei morti e ne libererà l’anima, per sempre forse, dal Samsara. Ascoltiamo discussioni tra i bramini che talvolta ci appaiono accese.
Saliamo lungo il “korridor”. Ci inoltriamo lungo lo stretto stradino attraverso il quale discendono i cortei funebri: famigliari del morto che portano sulle spalle una semplice lettiga di legno dove è posata la salma, già rivestita da un lenzuolo bianco e con sparsi fiori arancioni; avanzano intonando una nenia fatta di versi ripetuti in contro canto; ne incontreremo diversi durante la nostra risalita dal Manikarnika Ghat. Affrontiamo il movimento frettoloso degli indiani, di quelli intenti alle loro occupazioni quotidiane come dei turisti o pellegrini; è un movimento incessante, che non teme ostacoli di sorta che siano noi, animali, mendicanti, storpi.
Noi avanziamo nonostante tutto, nonostante la stanchezza alleata del caldo, nonostante le sensazioni che stiamo vivendo e le emozioni che ne derivano. Potremmo anche finire sopraffatti da tutto questo, perché quello che stiamo vivendo è qualcosa che non è scontato si possa vivere in una sola esistenza. Ma avanziamo ugualmente, come fossimo alle prese semplicemente con una mosca che non ne vuole sapere dei nostri tentavi di scacciarla, che impertinente canaglia quale essa è non ha pudore quando si tratta di affacciarsi alla nostra bocca, al nostro naso, nelle nostre orecchie e persino sui nostri occhi, che stuzzica tenace i nostri sensi.
Non ha paura di essere schiacciata in un nostro momento di esasperazione? Forse no; o forse è proprio quello che si aspetta. Ci concediamo una sosta dentro un piccolo locale, e gustiamo un delizioso yogurt (lassi) mentre si susseguono i cortei funebri diretti alle pire. A voler essere precisi, il percorso di questa mattinata è stato molto più irregolare di come è raccontato. A volte siamo tornati sui nostri passi a voler capire meglio quello che stavamo vivendo, o per cogliere una immagine che pensavamo potesse esserci sfuggita. Ci siamo smarriti in alcuni momenti in quel dedalo di stradine, nei riti, nei segreti di Varanasi, nelle foto. Abbiamo provato lo stordimento, inevitabile. Alla fine riemergiamo, e in qualche modo ritorniamo in quell’angolo più tranquillo della città dove è il nostro albergo. C’è bisogno di una pausa dopo tutto quello che abbiamo visto, una pausa che ci consenta di assorbire le sensazioni che ci vibrano dentro.
Giorno 10 – Delhi e ritorno
Salutiamo Varanasi; prendiamo la via del ritorno. Un volo interno ci porta a Delhi. Con un pulmino compiamo un vertiginoso tour della città. Da bordo ammiriamo il bellissimo e moderno tempio di Loto. Ci fermiamo alla bellissima tomba Moghul di Humayun, cerchiamo poi di inoltrarci nel quartiere musulmano più vecchio di Delhi, il Nizamuddin, e infine ammiriamo la grande moschea di Delhi splendidamente illuminata.
Ma il tempo ormai stringe. Il programma è stato completato, siamo stanchi, saturi ma ancora allegri. Ci aspetta la cena finale, e poi la partenza verso l’aeroporto di Delhi da dove, l’indomani, ripartiremo. E allora la forza centrifuga delle nostre esistenze mondane ci separerà.
Pensieri di viaggio
I viaggi non sono tutti uguali. Alcuni viaggi ti sfidano, ti sfibrano, sembrano svuotarti anche dell’ultima stilla di energia che avevi dentro; è una purificazione? Alcuni viaggi ti lasciano un messaggio come in una bottiglia abbandonata nel mare – o, perché no, lungo un fiume – e solo più in la nel tempo, in un tempo che non sai, lo ritroverai e leggerai, e potresti scoprire di essere stato uno di quei favolosi personaggi che hanno abitato i palazzi principeschi, percepirai sussurri maliziosi di favorite e concubine provenienti da dietro pareti intessute come magnifici sari. Nelle infinite foto scattate cercherai il senso di tutto questo, di un fuoco, di una risata, di una puja, di uno sguardo incrociato, di un momento di smarrimento. Il senso di un viaggio speciale.
Perché il viaggio è questo, il viaggio è una vita in miniatura, il ripetersi di un ciclo di nascita, realizzazione, morte e rinascita, con le sue esperienze brucianti, i suoi incontri decisivi, comunque mai banali, i suoi traumi e le sue scoperte che possono ferire e maturare; è un concentrato di esperienze che può essere al limite della resistenza fisica e spirituale. Il viaggio è ricominciare.
Perché il viaggio in India è questo, è muoversi nell’universo caotico dove materia e spirito danzano senza sosta generando significati, prospettive, forme…perché l’esperienza dell’India che si cristallizzerà nell’anima di chi ha avuto la ventura di viverla con occhi limpidi di passione e, perché no, allegria, suggerisce il segreto dell’esistenza: “partorire una stella danzante dal caos che si ha dentro di sé”.
Si ringrazia Mario, l’autore di questo fantastico racconto, mio compagno di questo viaggio speciale, che abbiamo fatto insieme al gruppo di Viaggi Avventure nel Mondo ad Aprile 2023.
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