Le posizioni dello yoga, chiamate asana, non sono che uno degli 8 passi dello yoga inteso come percorso. Non hai mai sentito parlare degli altri? Li vediamo insieme.
Gli 8 passi dello yoga, chiamati anche 8 stadi, 8 tappe o 8 braccia sono 8 direzioni indicate da Patanjali negli Yoga Sutra, testo fondamentale nella filosofia indiana. Gli Yoga Sutra descrivono un percorso che porta all’ultima tappa, il Samadhi, conosciuta nel buddismo come Nirvana. I primi 4 passi riguardano gli aspetti legati alle nostre azioni e al nostro corpo, e infatti queste prime pratiche sono chiamate lo Yoga Esterno (bahiranga yoga). Gli ultimi 4 sono più rivolti alla nostra coscienza e per questo fanno parte di quello che è chiamato lo Yoga Interno, Antaranga Yoga.
In realtà tutti gli 8 passi sono di egual importanza, sono tutti funzionali, sono tutte membra dello stesso corpo e come tali andrebbero praticate tutte insieme, contemporaneamente. Questo perché da un lato la pratica delle regole etiche (non da intendere come comandamenti ma raccomandazioni) rende più chiara la mente e il cuore e ci aiuta nella pratica meditativa. Allo stesso tempo la pratica della meditazione ci aiuta ad applicare meglio le regole di Yama e Niyama.
Lo scopo degli 8 passi dello yoga
Lo scopo del praticante è quello di arrivare alla piena realizzazione del Sé, attraverso l’applicazione di questi principi, ovunque si parta. Permette di arrivare alla vera saggezza e far risplendere la luce del sé. E’ una pratica che prescinde dalle religioni, dal luogo, dal tempo o dallo stato sociale. Quando si armonizzano i propri pensieri e il proprio cuore con queste raccomandazioni, ci si armonizza con l’energia universale. Di conseguenza, ci si libera dalle catene di Maya.
Quando, nel corso della vita, facciamo qualcosa che non è in armonia con questi precetti creiamo Karma vincolante (ma qui si aprirebbe un altro capitolo, ne parleremo un’altra volta).
I primi due passi appunto sono Yama e Niyama e sono quelli che più fanno riferimento al nostro modo di vivere nel mondo: le cose da fare e le cose da non fare.
YAMA
Il primo passo è Yama, le astensioni. Patanjali ci suggerisce di iniziare il nostro percorso di crescita personale moderandoci nei comportamenti, seguendo una morale intesa come universale. I principi più importanti dello Yama sono 5:
- Ahimsa – la non violenza, sia fisica che psicologica. La non violenza psicologica si traduce in rispetto verso gli altri, che esclude la prevaricazione verso gli altri, l’egoismo, l’egocentrismo e il bisogno di affermarsi. E’ il principio più importante attorno al quale si devono regolare gli altri principi
- Satya – l’autenticità, la veridicità, l’essere veri in quello che diciamo e quello che facciamo
- Asteya – l’onestà, il non appropriarci di quello che non ci appartiene o il non sfruttare qualcosa oltre il limite che ci è consentito
- Brahmacarya – il controllo dei sensi, la moderazione dei nostri comportamenti che vuole evitare eccessi che ci distolgono dal nostro obiettivo finale e ci tolgono le energie, il corretto utilizzo della nostra energia vitale
- Aparigraha – non avidità, che implica un non attaccamento agli oggetti, non possesso
Queste sono le regole etiche universali che si basano sull’applicazione dei principi del Dharma, che nella cultura vedica è la giustizia universale. Il lavoro su queste restrizioni richiede impegno e disciplina e rientra nel grande ombrello di Abhyasia e Vairagya – la pratica del distacco. Come Abhyasia, è da seguire correttamente e regolarmente, a lungo nel tempo.
NIYAMA
Il secondo passo dello yoga è Niyama, le cose da osservare o prescrizioni che permettono di avvicinarci alla consapevolezza della nostra interiorità e purificarci dalle nostre impurità. Questi comportamenti da seguire sono:
- Sauca: la purezza, sia del nostro corpo che verso sé stessi. Porta da un lato a mantenerci in buona salute e dall’altro a essere sempre sinceri e in accordo con sé stessi
- Santosha: gioia incondizionata. Cosa significa? Che dobbiamo essere capaci di non attribuire la nostra felicità a qualcuno o qualcosa, dobbiamo saper essere “contenti senza forma”, senza oggetto.
- Tapah: determinazione, fuoco interiore. Patanjali ci spinge a usare la nostra forza di volontà e il nostro focus per sviare ogni ostacolo e restare centrati senza lasciarsi trascinare da abitudini e condizionamenti.
- Svadhyaya: conoscenza di sé, lo studio della nostra coscienza trovando consapevolezza di noi stessi
- Isvarapranidhana: abbandono al divino. Personalmente intendo questo punto come nell’avere fiducia e nel seguire una massima semplice ma importante: IT IS WHAT IT IS, è quello che deve essere. Che tu creda in un Dio o meno, l’abbandono a qualcosa più grande di noi con fiducia è la chiave.
Tapah, Svadhyaya e Isvarapranidhana sono i 3 precetti del Kriya Yoga, lo yoga tanto caro a Yogananda. Mentre i Niyama è possibili applicarli ovunque, anche in un eremo in solitudine, per applicare Yama devo avere una vita in relazione al mondo.
->> Per capire davvero questi primi due passi vi consiglio di leggere il mio approfondimento su Yama e Niyama.
ASANA
Le asana sono le posizioni assunte durante una pratica yoga. Letteralmente asana significa stabilità libera da tensioni e indica quindi una posizione in cui riusciamo a essere al tempo stesso in equilibrio e a nostro agio. Per Patanjali l’asana è immobilità, è capacità di concentrare la propria attenzione sulla mente. Per una lista completa di posizioni yoga leggi la mia guida.
PRANAYAMA
Il pranayama è il controllo del respiro. Portando consapevolezza al respiro possiamo arrivare alla sospensione delle fluttuazioni mentali. Tradotto in parole semplici, concentrandoci sul respiro smettiamo di pensare. Smettiamo di farci influenzare dall’Ego, da condizionamenti esterni, dal passato e dal futuro. Torniamo centrati sulla nostra vera essenza, sul nostro Io interiore.
Lo so, se non avete mai praticato esercizi di pranayama sembrano tutte scemenze, cose che si dicono per dare un tono di misticità e creare una magia attorno allo yoga. In realtà il pranayama secondo me è speciale, perché è sia immediato che infallibile. Ecco come mai:
Seguire esercizi di respirazione significa stabilizzare il respiro, introducendo una quantità di ossigeno superiore a quella che normalmente introduciamo con la respirazione “di tutti i giorni”, che raramente riempie appieno i polmoni. Significa calmare i battiti cardiaci, portare questa maggiore quantità di ossigeno anche ai nostri organi, permettendogli di funzionare meglio. Grazie a un atto semplicissimo che facciamo tutti i momenti di tutti i giorni della nostra vita, ma fatto in modo consapevole, influenziamo il nostro corpo e i nostri organi. Associato a un benessere del corpo deriva anche il benessere della mente, che a questo punto può lasciarsi andare, seguendo il ritmo della tecnica di respirazione scelta e dimenticando tutto il resto.
Tra le tecniche di respirazione più conosciute ci sono Nadhi Shodhana, Kapalabhati e Ujjayi.
PRATYAHARA
A partire dal quinto passo dello yoga si entra in un sentiero più concentrato sull’interiorità. In particolare Pratyahara è uno stadio in cui la mente si ritira dai sensi. E’ una pratica che permette di distaccarsi da suoni, immagini, odori, gusti e sensazioni esterne a noi. E’ la base verso la meditazione, il primo stadio in cui anche grazie al pranayama riusciamo a distendere la mente e prepararla per Dharana, il tutto facilitato dalla pratica asana che permette di arrivare alla giusta condizione per fare tutto questo.
DHARANA
Negli 8 passi dello yoga il sesto è Dharana, la concentrazione verso qualcosa. Se con pratyahara distogliamo l’attenzione dai sensi, con dharana la rivolgiamo a un oggetto, come ad esempio un mantra o una fiamma della candela. Personalmente adoro questa tappa, questa forma di meditazione in cui la mente rimane attiva, capace di restare in osservazione.
DHYANA
Dhyana è la meditazione successiva, che si riesce ad avere quando Dharana si stabilizza. Entriamo in connessione diretta con la realtà, in uno stato di armonia in cui abbandoniamo completamente pensieri, sensazioni, emozioni, sentimenti. Con Dharana ci sforziamo di rivolgere la nostra attenzione ad un’unica cosa, con Dhyana invece lasciamo svanire ogni tipo di sforzo e di attività. E’ una tappa di grande rilascio, libertà, benessere, un momento di totale assorbimento. Non è per niente facile arrivare a questo stadio, anzi lo è ancora meno se se ne ha l’intenzione. E’ un passaggio spontaneo che davvero fa parte di un percorso personale e che non può essere ricercato di per sé.
SAMADHI
Samadhi è lo stadio finale dello Yoga descritto da Patanjali. E’ uno stato perfezionato di Dhyana, in cui sparisce il senso di separazione dagli altri e dal resto del mondo. E’ uno stato di estasi divina molto difficile da spiegare, sopratutto per me che ne sono lontana 😛
Patanjali per me è una figura mitica, che ha segnato profondamente la nostra storia e sopratutto la storia dello yoga grazie ai suoi insegnamenti, in cui mi ritrovo molto. Gli 8 passi dello yoga presenti negli Yoga Sutra non sono che una parte dei testi totali, ma sono una delle più importanti. Capire a fondo il significato di questi concetti e riuscire a metterli in pratica non è da tutti, ma spero di avervi dato un’idea dello yoga inteso in senso completo, non solo come pratica.
La pratica yoga che un po’ tutti ormai hanno provato almeno una volta nella vita la consiglio a tutti ed è comunque benefica in ogni caso, ma consiglio anche di andare al di là della semplice lezione yoga. C’è tutto un mondo da scoprire.